Percorso geologico di Busi

scoprite il percorso geologico

L’esistente percorso geologico di Busi, che si estendeva da Mezuporat verso Polje fino a Salbunara e finiva a Porat, è stata ampliata con nuovi tratti di strada da Polje verso la cima più alta di Busi, Stražbenica, poi verso Potok e finisce a Gatula. Dunque, il Centro visitatori ora è collegato con Mezuporat, Porat, Gatula, Salbunara e Stražbenica.

Lungo il percorso allestito previsto per pedoni e ciclisti vi si trovano segnali con indicazioni, tabelloni informativi, sostegni per biciclette, pergole, un belvedere con un cannocchiale panoramico nonché due macchine da presa per l’osservazione della nidificazione del falco della regina. Quattro batterie costiere sono state ristrutturate e trasformate in aree di riposo con tavoli.

Lungo i percorsi i visitatori vedranno un totale di 25 tabelloni informativi su cui sono rappresentate, oltre la mappa turistica dell’isola di Busi, le più importanti località, tra cui la Grotta Azzurra e la Grotta Medvidina, la baia Salbunara, la vegetazione di Busi, i più importanti animali, tra cui il delfino tursiope, il falco della regina e gli uccelli migratori, fenomeni e oggetti speleologici e geologici, monumenti storici, tra cui l’antica scuola di Busi, la chiesa di San Silvestro, il pozzo romano e le batterie costiere nonché la tradizionale agricoltura dell’isola.

Il concetto dei sentieri didattico-tematici, che riproducono l’interpretazione del patrimonio naturale e culturale, ha un carattere educativo e ricreativo. I visitatori possono scegliere il tratto di sentiero didattico a seconda delle loro preferenze, della forma fisica e le loro capacità.

Vi trovate sull’isola di Busi, un’isola dell’arcipelago di Lissa, sulla quale si presentano 2 monumenti naturali. La Grotta Azzurra è il più attraente monumento naturale dell’arcipelago ed è caratterizzata da effetti luminosi unici che non vi lasceranno indifferenti. A solo un miglio di distanza vi si trova la Grotta Medvidina, il secondo monumento naturale e la più lunga semisommersa grotta dell’Adriatico. Pari a una lunghezza di 160 metri la grotta era una volta il rifugio della foca monaca del Mediterraneo, che giaceva sul lido piccolo nella parte finale della grotta e allevava i suoi giovani.

Questo percorso descrive l’origine geologica dell’isola di Busi ed il patrimonio culturale e naturale degli abitanti di questa bellissima ed esotica isola.

Nel mesozoico, verso la fine dell’era dei dinosauri, cioè all’inizio del cenozoico e l’era dei mammiferi, l’isola di Busi era situata nella zona tropicale in mezzo all’oceano preistorico Tetide. L’isola di Busi faceva parte di un piccolo continente situato tra l’Europa e l’Africa, che viene chiamato Piattaforma carbonatica adriatica. La Piattaforma carbonatica adriatica era coperta da un mare basso e caldo, che era ricco di vita e numerosi organismi.

Gli strati sedimentari dell’isola di Busi sono composti da numerosi nicchi e resti dei suddetti organismi. Con la collisione della Piattaforma carbonatica adriatica e l’Europa i sedimenti si sono rialzati tettonicamente, il cui processo è risultato con la nascita dei Dinaridi e le isole odierne dell’arcipelago di Lissa.

Durante l’era del Quaternario, quando il livello del mare era addirittura 140 metri più basso rispetto ad oggi, predominava un’era glaciale secca e fredda. I venti soffiavano la sabbia dalle steppe di una volta sui monti circostanti, le isole di oggi, creando così campi sui quali crescono viti di massima qualità e bellissime spiagge sabbiose dell’isola di Busi.

Grotta Azzurra – la bellezza che non si può descrivere a parole
Foto dell’interno della Grotta Azzurra

Il pittore viennese barone Eugenio di Ransonnet ha scoperto la Grotta Azzurra sull’isola di Busi. Nel quotidiano viennese “Neue Freie Presse” del 7 agosto 1884 è stato pubblicato un articolo del barone Eugenio di Ransonnet: “Die blaue Grotte der Insel Busi” (La Grotta Azzurra dell’isola di Busi).

Questo articolo ha suscitato un enorme interesse del pubblico austriaco per le meraviglie naturali della costa e delle isole dell’Impero austro-ungarico. Questa è stata una notizia sensazionale sulla scoperta di questo fenomeno naturale dell’Adriatico – la Grotta Azzurra sull’isola di Busi.

Secondo l’opinione dello scopritore Ransonnet, questa grotta con la sua bellezza supera una grotta simile, l’omonima Grotta Azzurra sull’isola di Capri in Italia, che era ritenuta la più bella grotta al mondo. Mentre vi state allontanando dalla luce estiva ed entrate nel tunnel scuro della Grotta Azzurra di Busi, subito incontrerete una profonda meraviglia azzurra che vi illuminerà dal mare con un colore che trasforma tutti gli oggetti e corpi in argento liquido.

Siete sicuri di trovarvi in un posto mitico, un tempio di bellezza, di avervi trasferito dalla realtà nel soprannaturale, in un inesplicabile ambiente mitico di una divinità marina che vi riempie di sensazioni incredibili e una forza miracolosa.

Le più recenti pagine del “libro roccioso” di Busi sono i calcari formatisi nel Paleogene, il periodo geologico in cui prevalgono i mammiferi.

Similmente a un sassolino che rotola lungo il pendio di neve, queste sfere rocciose si sono formate con lo slittamento di sedimenti lungo il versante marittimo. Tali calcari biogeni vi si trovano maggiormente nella parte centrale dell’isola di Busi e si possono riconoscere dal tatto ruvido (aspro) e dalla stratificazione nodulare (“sferica”). La loro caratteristica naturale è il facile deterioramento in sabbia carbonatica che nell’ultima era glaciale trasportata dal vento è finita negli altipiani e nelle valli dell’isola.

Da milioni di piccoli nicchi carbonatici di protozoi (foraminiferi), alghe, echinoidei e molluschi nonché le loro schegge si è formata la sabbia. Successivamente, i granelli di sabbia venivano collegati con cemento cristallizzato, formando una roccia molto dura – il calcare.

Sfere rocciose dal fondo del mare preistorico
Sfera rocciosa nel calcare nodulare di Busi nella baia di Mezuporat

Circa 100-120 milioni di anni fa alcune piante terrestri sono ritornate in mare. Una di loro è la posidonia, cioè la Posidonia oceanica, una pianta marina con fiori e frutti presente solo nel Mare Mediterraneo. La posidonia è la più diffusa specie di angiosperme nel Mediterraneo. Il nome le è stato dato dal botanico svedese Linneo che l’ha denominata così in onore del dio greco del mare, Posidone.

La posidonia gioca un ruolo importante nell’ecosistema delle acque litoranee per vari motivi. Nelle praterie della posidonia vivono fino a 400 diverse specie di piante e diverse migliaia di specie animali. Solo un osservatore paziente riuscirà a percepire le praterie di posidonia a prima vista spopolate come un habitat della vita sottomarina molto popolato. Sulle foglie della posidonia si sviluppa una moltitudine di specie vegetali e animali denominate epifite (dal vocabolo greco epi “sopra” e phyton “pianta”). Delle epifite si nutrono specie pescabili di pesci, molluschi e crostacei. Grazie alle lunghe foglie e una diffusa rete di rizomi la posidonia raccoglie particelle di sedimenti, con cui favorisce la trasparenza del mare. In autunno, questa “erba di mare secca”, chiamata così dagli abitanti della Dalmazia, protegge le spiagge di sabbia dell’isola di Busi dall’erosione della sabbia. È stato valutato che l’isola di Busi sia circondata da 200 ettari di posidonia che, insieme a grotte marine, pendii coralligeni, spiagge di sabbia e il fondo sottomarino, costituisce la zona della rete ecologica “Natura 2000” denominata “Mare di Busi”. Similmente ai boschi sulla terraferma, le praterie di posidonia rappresentano un’associazione “climax” (lo stadio finale di una lunga successione ecologica) nel fondo sottomarino litoraneo, che produce notevoli quantità di ossigeno, elemento essenziale per la vita. Dato che è caratterizzata da una crescita molto lenta, cioè da 1 cm a 7 cm in media annuale, la rigenerazione delle zone coperte dalla posidonia è altrettanto lenta. Perciò è di enorme importanza provvedere preventivamente alla conservazione della posidonia regolando l’impatto umano e costruendo fognature, proibendo il riempimento della costa, proibendo le attrezzature da pesca a traina e regolando l’ancoraggio.

La baia di Mezuporat sull’isola di Busi possiede un sistema ecologico di ancoraggio costante. I navigatori si agganciano a un galleggiante, grazie al quale l’ancora non viene gettata ripetitivamente sui morbidi campi di posidonia. Nella storia la posidonia veniva utilizzata per la nutrizione aggiuntiva di superfici agricole, come copertura per tetti e per la costruzione di giacigli. Nella grotta del Lazaret a Nizza sono stati trovati dei resti di giacigli costruiti con la posidonia che la gente usava circa 10000 anni fa.

Nel retroterra della Grotta Azzurra si possono vedere le conseguenze della potente dinamica nella crosta terrestre. In seguito agli effetti delle forze tettoniche dal fondo della Terra e il lento spostamento di grandi blocchi delle parti superiori della crosta terrestre si è verificata una frattura di rocce e un movimento dei blocchi lungo le rotture così formatesi – superfici piane che vengono chiamate faglie. Le tracce del movimento tettonico cioè dell’abrasione del blocco della Grotta Azzurra con la massa principale delle rocce dell’isola di Busi sono visibili sulla superficie di faglia levigata, denominata anche paraclasi oppure specchio di faglia. Questa faglia taglia le rocce e la possiamo seguire dall’entrata meridionale della Grotta Azzurra fino a uno stretto passaggio nella parte settentrionale tra la costa e l’isoletta, lungo la quale navigano le barche con i visitatori.

La Grotta Azzurra si è formata probabilmente tramite erosione selettiva (abrasione) durante l’interazione dell’innalzamento tettonico (diapirico) dell’isola e i cambiamenti del livello del mare dopo l’era glaciale. Infatti, le rocce formatesi nel corso delle fasi continentali sono più tenere dei carbonati circostanti, ed è proprio per questo orizzonte cioè pagina del “libro roccioso” che si presume si trovi al livello delle parti sommerse della Grotta Azzurra. Potenti onde si infrangevano durante forti venti meridionali su queste rocce tenere scavando un’enorme apertura nelle rocce stesse – l’odierno fenomeno geomorfologico chiamato Grotta Azzurra. Queste rocce sono anche oggi esposte all’impatto di forti venti e onde che le scheggiano.

Forze tettoniche e specchio di faglia
Foto della faglia tra il calcare nodulare e il blocco di calcare della Grotta Azzurra
Convivenza con le rocce
Vista sui calcari a forma di lastra integrati nei tetti di case tradizionali nella baia di Porat

La gente usufruiva delle rocce sin dal periodo della preistoria. Sull’isola di Busi troviamo diversi tipi di calcari che si manifestano in forme diverse – come massicci, grossolanamente stratificati, nodulari e a forma di lastra. Di conseguenza tale materiale naturale veniva usato per la costruzione di case e altri oggetti sull’isola.

La pianura dell’isola di Busi è caratterizzata da un campo su cui sorse il più grande insediamento di quest’isola pittoresca, Polje (che in croato significa campo). La Chiesa di San Silvestro è la più grande struttura sull’isola che è stata costruita con diversi tipi di pietre locali scelte accuratamente (blocchi, blocchetti e lastre). La seconda grande struttura dell’isola, scuola di un tempo, cioè il futuro centro informativo per visitatori, è stata altrettanto costruita in pietra autoctona dell’isola di Busi, come la maggior parte di altre costruzioni.

Gli abitanti utilizzavano diversi tipi di sostrati geologici per diverse piantagioni, i cui frutti rendevano possibile la vita su questa lontana isola. Grazie allo specifico sostrato geologico il suolo di più alta qualità si estendeva proprio intorno al suddetto villaggio di Polje dal quale si apre una veduta splendida sull’isola di Svetac, che raggiunge la sua massima bellezza in primavera quando la macchia si trasforma in un’oasi floreale.

Nel 1050 il sacerdote Giovanni (in croato Ivan) di Spalato ha costruito sulla spianata centrale dell’isola una chiesa dedicata a San Silvestro (314 – 335), il primo papa nella storia del cristianesimo che ha reso possibile ai cristiani di esprimere liberamente la propria religione. Il padre Giovanni ha regalato la chiesa ai benedettini delle Isole Tremiti. La chiesa di San Silvestro è stata costruita in stile preromanico, però la sua forma originale cambiava nel corso dei secoli. Nel periodo in cui fu eretta questa chiesa sull’isola di Busi sono arrivati i benedettini che avevano costruito il loro monastero vicino alla chiesa.

Nei periodi turbolenti di lotta fra la Repubblica di Venezia e l’Impero bizantino papa Alessandro III ha messo il monastero sotto sua custodia al fine di garantire il predominio su questi territori. Il giorno 2 maggio del 1181 il Papa sottoscrisse il Privilegio con il quale diede la sua protezione al monastero sull’isola di Busi. La lettera comincia con le parole del Papa rivolte al superiore del monastero, l’abate Urso: “Il vescovo Alessandro, servo di tutti i servi di Dio, al suo figlio preferito Urso, l’abate del monastero di San Silvestro sull’isola di Busi e ai suoi fratelli monaci, per i tempi presenti e futuri, per tutti i tempi.”

In questa chiesa sull’isola di Busi è conservato uno dei più antichi quadri della Madonna in Croazia (la Madonna di Busi), un’opera d’arte dello stile pittorico protoveneziano del XIII secolo (1220), per la quale la popolazione crede di avere poteri miracolosi.

Chiesa di San Silvestro sull’isola di Busi
Foto della Madonna di Busi
Quaderno dei compiti del ragazzino Pietro
Quaderno dei compiti del ragazzino Pietro

Nel 1921 è stata fondata la scuola elementare quadriennale in una delle case private nel villaggio di Porat, mentre nel 1937 gli abitanti di Busi hanno costruito una scuola per i loro figli nel villaggio di Polje. Le lezioni nella scuola si tenevano fino al 1961 quando la scuola è stata chiusa a causa di un numero basso di allievi. Prima della Seconda guerra mondiale l’isola di Busi contava 350 abitanti, e secondo il censimento del 2011 l’isola aveva solamente 11 abitanti residenti. Molti abitanti di una volta sono emigrati permanentemente in America, la maggior parte a San Pedro in California, oppure in Australia.

Dell’anno 1953 è stato conservato un quaderno per i compiti con un testo riguardante l’isola come patria:

Busi, il 14 febbraio 1956 Quinto compito di scuola

Il mio villaggio

“Il mio villaggio si chiama Busi, si trova nel centro dell’Adriatico. La gente si occupa di agricoltura e pesca. È circondato da monti e un piccolo bosco. Le case sono costruite dappertutto e si pensa l’isola sia deserta. Non ha nemmeno una ferrovia, né centrali elettriche, cinema oppure teatri. Non viene raggiunta da grandi battelli a vapore come in città. Il mio villaggio è piccolo e ha una grotta molto rinomata.”

Così scriveva un mattino d’inverno del 1956 il ragazzino Pietro (in croato Petar) della terza elementare sulla sua isola nel centro dell’Adriatico conosciuta per la Grotta Azzurra.

Nel 1990 la città di Comisa ha insieme all’Università di Zagabria iniziato un progetto concernente la ristrutturazione dell’edificio della scuola di Busi con l’idea di fondare al suo interno un centro internazionale di ricerca. Questo è stato il momento che per l’isola di Lissa con le isole appartenenti rappresentava la fine di una zona militare e in cui è stato permesso l’arrivo di turisti stranieri su questa isola pelagica dopo 45 anni di isolamento. Si è accesa la speranza che sia possibile usufruire di questa opportunità storica per iniziare un programma di sviluppo sostenibile su quest’isola spopolata. Il progetto è stato interrotto a causa della guerra, però l’idea è rimasta e venne realizzata 28 anni dopo con la ristrutturazione del vecchio edificio della scuola per il nuovo Centro visitatori dell’isola di Busi.

Al finire del periodo dei dinosauri, verso la fine del Cretaceo, un ampio territorio dell’isola di Lissa si è elevato alla superficie. Nelle condizioni continentali le ingiurie del tempo hanno cominciato a intaccare le rocce calcaree “resuscitate”. In questo periodo la polvere di colore rossiccio-marrone ha riempito gli spazi del paesaggio neonato, similmente come oggi le piogge “sporche” trasportano la polvere dal Sahara. Tale polvere oggi si può trovare in forma di suolo pietrificato di colore rossiccio-marrone.

Similmente a una “capsula del tempo”, il suolo ha mantenuto le ossa di animali come un ricordo del periodo in cui nel cuore dell’oceano Tetide al posto dell’arcipelago di Lissa esisteva una grande isola. Gli abitanti dell’isola erano i dinosauri, i coccodrilli e altri animali terrestri.

La vita sottomarina è fiorita di nuovo dopo il periodo in cui il mare aveva allagato quest’area durante il Paleogene. Ora si depositavano calcari completamente diversi da quelli del Cretaceo in forma di calcari biogeni non di colore rossiccio-marrone, ma di colore marrone chiaro.

Fase continentale sull’isola nel cuore dell’oceano
Foto di strati rossicci della fase continentale nell’intaccatura del nuovo percorso
Sabbia eolica dell’era glaciale
Campo coperto da sabbia dell’era glaciale con coltivazioni di viti

Nel periodo geologico più recente, il Quaternario, l’isola di Busi ipoteticamente non poteva essere raggiunta a nave, ma in jeep. Durante tempi gelidi di questo periodo il clima era secco e freddo, e il livello del mare era 140 metri più basso rispetto ad oggi. L’Adriatico non era coperto dal mare come oggi, ma era un’ampia steppa e le isole erano sparse cime di monti. Sulla steppa prevaleva la sabbia che il vento spazzava sui monti circostanti. Gli odierni campi sabbiosi rappresentano solo dei resti d’erosione di quelle coperture sabbiose più larghe. Un suolo di tale specificità rese possibile la coltivazione di viti di ottima qualità, fungendo da habitat per numerose popolazioni di chiocciole terrestri. La maggior parte della sabbia trasportata dalle torrenti è finita nelle valli che dopo l’ultima era glaciale sono state sommerse con l’innalzamento del livello del mare. Perciò lungo la costa dell’isola di Busi possiamo trovare alcune delle più belle spiagge di sabbia dell’arcipelago di Lissa: Porat e Salbunara.

È nato sull’isola di Busi nel 1893. Per evitare di prestare il servizio all’esercito austro-ungarico, ha deciso di immigrare negli USA nel 1913. Si è imbarcato sul battello a vapore Martha Washington a Trieste e dopo 18 giorni di navigazione è sceso a New York senza saper una parola di inglese e con 22 dollari in tasca. D’altro lato, Pavao Martinis è venuto in America con una ricca esperienza da pesca acquisita dalla sua patria andando a pesca con il padre dalla prima infanzia. È arrivato ad Astoria, nello stato di Oregon. Aveva sentito parlare di pescatori provenienti da Comisa e ha deciso di cercarli. Erano i primi tempi pionieri della pesca in Alaska, quando si praticava pescare a vela e con remi. I salmoni venivano catturati in condizioni di pesca tremende.

Pavao Martinis è entrato nella storia della pesca in America non solo per la sua pesca di salmoni da record nella baia di Bristol e nel Mare di Bering ma anche come primo pescatore che aveva scoperto le posizioni per la pesca dei salmoni nelle ricche, però pericolose acque delle Isole Aleutine. Il presidente degli USA Dwight D. Eisenhower lo ha premiato per i suoi successi nella pesca con il titolo Re dei salmoni (King of Salmon) nel 1956.

Pavao Martinis
Pavao Martinis
Libro roccioso” dall’era dei dinosauri
Libro roccioso” dall’era dei dinosauri

Sarbunora, una delle tre baie di Busi, ha preso il nome dal vocabolo di Comisa per la sabbia – “sarbun”. Nella parte nord-occidentale dell’isola una completa epoca della crosta terrestre si è innalzata dalle profondità del mare in forma di “libri”. Con la collisione della Piattaforma carbonatica adriatica e l’Europa si è verificato un rialzamento tettonico che ha dato forma ai Dinaridi e agli altri monti, le odierne isole dell’arcipelago di Lissa. Perciò lungo la costa possiamo trovare delle falesie spettacolari. Ogni pagina di questo “libro” geologico racconta una storia lunga 1000 anni. Annotazioni di questa “Biblioteca di Posidone” ricche di dettagli si susseguono anche lungo la baia di Salbunara e sono decorate con ornamenti fossili che riproducono contorni e strutture della preistoria. Il fango e la sabbia carbonatica, successivamente pietrificati (litificati) in uno strato di dure rocce calcari, si sono formati da parti spezzettate di nicchi fossili.

Nelle lagune della piccola piattaforma carbonatica adriatica di una volta, infisso nel fango, sul fondo di un caldo mare tropico viveva un numeroso gruppo di bivalvi, le rudiste. L’impatto di un asteroide 66 milioni di anni fa ha segnato il destino di questi protozoi e dei dinosauri. Nel periodo d’innalzamento del livello del mare i nicchi delle rudiste e delle chiocciole si sono trasformate in sabbia fina. La sabbia veniva trasportata delle correnti marine, creando banchi di sabbia.

La storia di Martin Bogdanović, un abitante dell’isola di Busi, che viene trasmessa per tradizione orale, racconta che un giorno lui, coltivando la vigna sull’isola, avesse rotto il manico della zappa. Secondo la storia, si trovava dinnanzi a un dilemma se riparare la zappa o partire per l’America. Ha deciso di buttare la zappa e partire per l’America perché aveva proprio finito di prestare servizio alla marina austro-ungarica e perciò era libero di lasciare la sua patria.

Nella città di San Diego ha iniziato ad occuparsi di pesca. Avendo risparmiato dei soldi dalla pesca, nel 1917 ha deciso di aprire una fabbrica per la lavorazione di pesci a San Pedro. Per poter organizzare la pesca a una distanza più lontana dalla costa, doveva trovare una soluzione come mantenere la freschezza del pesce per più a lungo. Il libro “The Port of Los Angelos” riporta che Martin Bogdanović è stato un innovatore che ha per la prima volta utilizzato il ghiaccio spezzettato per congelare il pesce sulla nave. Con tale invenzione gli si sono aperti i battenti dell’ampio oceano. Il successo della sua fabbrica si basava sull’esperienza degli immigranti americani provenienti dalla sua isola, che aveva assunto nella fabbrica. Martin Bogdanović veniva da un paese povero e poi si trasferì in un paese che apriva diverse occasioni di successo a lavoratori capaci e audaci. Così il povero pescatore dell’isola di Busi diventò il più rinomato nome dell’industria di pesce americana.

Martin Bogdanović
Martin Bogdanović
Specie in pericolo, il giglio di mare (Pancratium maritimum) con fiori di colore bianco
Specie in pericolo, il giglio di mare (Pancratium maritimum) con fiori di colore bianco

Sulla costa della baia si possono trovare numerose forme geologiche interessanti, bivalvi estinti dall’era dei dinosauri e banchi di sabbia pietrificati costituiti da milioni di conchiglie di chiocciole fossili. Sulla sabbia di Salbunara cresce un raro esemplare di specie in pericolo nella Croazia, il giglio di mare (Pancratium maritimum), che non è permesso raccogliere. Sulla sabbia di Gornja Salbunara si è sviluppata una ricca comunità di chiocciole e una vegetazione sabbiosa con una specie stenoendemica, la stellina di Stalio (Asperula staliana), il cui unico conosciuto luogo di ritrovamento è proprio l’isola di Busi. Compagnia le fanno la gramigna delle spiagge (Sporobolus pungens) e l’imperata in via di estinzione (Imperata cylindrica) nonché una specie scoperta di recente nella flora della Croazia, l’eliantemo Helianthemum jonium.

Nella formazione dell’attuale copertura vegetale sull’isola di Busi un ruolo centrale ha avuto l’incendio del 2003, che ha distrutto più di 3/4 dell’isola. L’incendio non ha devastato solo la parte più settentrionale dell’isola. Perciò attualmente sull’isola di Busi prevalgono cespugli di rosmarino (Rosmarinus officinalis) e l’Erica multiflora (Erica multiflora). Prima dell’incendio la parte meridionale dell’isola era coperta da un denso e naturale bosco mediterraneo sempreverde di leccio (Quercus ilex), mentre oggi in alcuni luoghi si è sviluppato in un bosco di pino d’Aleppo (Pinus halepensis). Fino ad oggi nella flora dell’isola di Busi è stato registrato un totale di 485 specie e sottospecie. Sono state registrate 43 specie vegetali che appartengono a diverse categorie di specie in pericolo, 88 specie vegetali protette e sette specie endemiche. Anche se in una misura più ridotta, la vegetazione di Busi è rappresentata da un paesaggio coltivato prevalentemente con viti, che una volta si poteva vedere più frequentemente.

La vegetazione di Busi
Cespugli di rosmarino (Rosmarinus officinalis) nel villaggio di Polje
Uccelli migratori
Piccoli uccelli migratori come topini e rondini sono una preda per il falco della regina

Il Mare Mediterraneo e i suoi mari marginali rappresentano un tipo di ostacolo per la migrazione, cosicché gli uccelli per riposarsi utilizzano isole pelagiche particolarmente sporgenti, per esempio l’isola di Busi. Il periodo migliore per osservare la maggioranza delle specie di uccelli sull’isola di Busi è assolutamente l’autunno perché la migrazione autunnale è più lenta e strada facendo gli uccelli fanno delle soste più lunghe. Però bisogna prendere in considerazione che diverse specie di uccelli migrano in periodi diversi e, conseguentemente, tale “autunno” può cominciare dalla seconda metà di luglio e durare fino alla metà di novembre. Così questa migrazione autunnale di uccelli oltre l’isola di Busi e altre isole pelagiche nel corso di una decina di migliaia di anni ha creato una nicchia ecologica completamente nuova, a cui durante questo lungo periodo di evoluzione si è adattata una nuova particolare specie, il falco della regina, di cui potete leggere di più sul tabellone numero 25.

L’Istituto Mondo azzurro dal 2007 ricerca i delfini tursiopi nell’area dell’Adriatico centrale e da quell’anno sono stati notati numerosi gruppi proprio sul territorio davanti a voi. Vi invitiamo a guardare più attentamente la superficie marina e cercare di trovare da soli questo gruppo di animali! Su un’area più estesa intorno all’isola di Busi vivono diverse centinaia di esemplari, tra cui forse noterete Kulfor, Napuhavac o Babalina, che devono il loro nome alle denominazioni locali di questi animali e alla tradizione centenaria della convivenza fra la popolazione e i delfini nel territorio acquatico di Lissa. Se vi trovate qui in primavera o inizio estate, avrete l’occasione di vedere i neonati giovani che nuotano accanto alla loro madre. L’area marittima nei più vicini pressi dell’isola, che rappresenta un importante habitat per questi animali, è stata inclusa nel territorio protetto della rete ecologica “Natura 2000” al fine di garantire condizioni favorevoli per l’esistenza di questa comunità.

Il delfino tursiope
Il delfino tursiope (Tursiops truncatus) risale in superficie nelle vicinanze del promontorio di Biskup sull’isola di Busi
Geologia dell’isola di Busi
Carta geologica dell’isola di Busi con indicazione delle località geologiche e geomorfologiche (speleologiche)

La formazione delle due grotte più conosciute, la Grotta Azzurra e la Grotta Medvidina, è collegata con processi tettonici che hanno condizionato l’estensione della grotta (faglia della Grotta Azzurra, faglia del promontorio di Biskup), mentre i processi erosivi e corrosivi hanno ampliato e formato i loro canali. Le frane di rocce friabili nella baia meridionale di Trešjavac si sono formate dall’attività di processi tettonici, probabilmente dall’innalzamento del diapiro salino. A nord dell’isola di Busi gli strati sollevati e inclinati dell’antica Piattaforma carbonatica adriatica costituiscono il “libro roccioso” (Libar) che contiene annotazioni dall’era dei dinosauri. Rilevanti superfici dell’isola sono ricoperte da sottili coperture di sabbia eolica con uno spessore massimo di 10 metri che, come suggerito dal nome, si sono depositate per azione del vento (Eol, in greco Αἴολος, Aiolos, è il dio greco del vento). Le più grandi coperture formate da sabbia eolica si trovano a Salbunara e a Potok.

Nel passato il mare di Busi fungeva da fonte di cibo per i suoi abitanti, mentre oggi rappresenta la fonte di reddito per tutta la comunità della città di Comisa. Senza la Grotta Azzurra, il più conosciuto fenomeno marino di questa storia, il Centro visitatori non esisterebbe come neppure esisterebbe questa storia che ora state leggendo. Le due più rinomate semisommerse grotte marine, la Grotta Azzurra e la Grotta Medvidina, sono le più conosciute attrazioni marine non solo della Dalmazia centrale, ma anche più altrove, però il fondo sottomarino di Busi nasconde un tesoro marino molto più prezioso. Informazioni sui popolamenti di posidonia le potete leggere sul tabellone numero 4 al di sopra della baia di Mezuporat, poi sulla sabbia eolica delle spiagge marine sul tabellone numero 15 a Salbunara, mentre la storia sulla parte più centrale di Busi troverete sulla cima di Stražbenica, caratterizzata da pendii coralligeni che hanno preso il nome dalle alghe rosse della famiglia di corallinacee. Si tratta di rocce profonde coperte da coralli come per esempio il falso corallo nero (Savalia savaglia) e la gorgonia rossa (Paramuricea clavata), mentre nelle più grandi profondità e nelle fessure nascoste vi si può trovare il corallo rosso (Corallium rubrum). D’altro lato i pendii meno profondi al livello dell’alta e bassa marea sono coperti da corone costiere, il cui principale biocostruttore è l’alga Lithophyllum byssoides, un eccellente indicatore del livello medio del mare.

Il profondo mondo di popolamenti coralligeni
Fondo sottomarino del promontorio meridionale di Gatula
Ricostruzione paleogeografica del territorio dell’Adriatico meridionale durante l’ultimo massimo glaciale
Ricostruzione paleogeografica del territorio dell’Adriatico meridionale durante l’ultimo massimo glaciale

La composizione e la forma dei granelli di sabbia (prevalentemente granelli di rocce carbonatiche e piccole quantità di minerali delle rocce di magma) e la loro struttura indicano che questi tipi di sabbia si siano formati in condizioni con un clima secco. Inoltre, nella sabbia sono stati trovati fossili di chiocciole terrestri del Quaternario, che vivevano in condizioni con un clima secco e relativamente freddo circa 25 000 anni fa. In quei tempi nell’emisfero boreale prevaleva una copertura glaciale e il livello del Mare Adriatico era circa 120 m più basso rispetto ad oggi. Dunque, Busi era solo un monte su un territorio relativamente pianeggiante, influenzato da due grandi fiumi, Cetina e Neretva, che apportavano il materiale dal lontano territorio dei Dinaridi. Tale materiale, insieme al materiale causato dall’usura di piccole isolette locali composte da rocce di magma, veniva trasportato dal vento verso i monti, come per esempio Busi.

Vicino al villaggio ci sono vigneti e piccoli campi coltivabili come per esempio frutteti e orti. Tra le colture di piante da frutto vengono coltivate pesche tabacchiere, nettarine, amarene, prugne, olive e agrumi. C’è un detto che dice: “Lodate ogni vitigno, ma coltivate il vitigno plavac”. L’autoctono vitigno croato “plavac mali” è la più importante varietà della subregione dalmata centrale e meridionale. Dato che è molto corposo, viene spesso denominato “vino selvaggio”, e deve il suo aroma particolare alla sabbia eolica che è un tipo di suolo di altissima qualità per le coltivazioni. Il vino “plavac mali” è il primo vino di origine geografica protetta nella Croazia. Grazie alle sue caratteristiche il vino “plavac” di Busi è stato riconosciuto sul mercato europeo verso la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. In quel periodo in Europa arrivò la fillossera (Dactulosphaira vitifoliae), un insetto che aveva danneggiato quasi tutti i vigneti in Europa. Fortunatamente, la fillossera si sviluppava molto difficilmente nella sabbia, cosicché i vigneti di Busi sono potuti sopravvivere alla crisi della viticoltura in Europa.

Disegno della Caverna di Gatula e la caverna Jezera na Gatuli
Disegno della Caverna di Gatula e la caverna Jezera na Gatuli

La Caverna di Smokvina, dal nome originale Caverna di Gatula, ha preso il nome da un grande fico (in croato smokva) che cresce dall’apertura della caverna. L’apertura della caverna ha un diametro medio di circa 7 metri e la parte più profonda della caverna posta a sudovest finisce con una fessura spaccata in una strettoia non transitabile dalla quale si può presumere che la caverna sia stata ancora più profonda nel passato. L’altra caverna dal nome Jezera na Gatuli si trova dall’altra parte della strada coperta di ghiaia a circa 50 metri dalla caverna di Smokvina, e ha due entrate, una orizzontale e una verticale. Sul soffitto della galleria si possono riconoscere poche concrezioni sottili, colloquialmente note come “maccheroni”, mentre più avanti nella caverna diventano sempre più numerosi i più grandi speleotemi – soprattutto passerelle, stalagmiti e stalattiti. La Caverna di Jezera è fino ad oggi la più profonda caverna scoperta sull’isola di Busi con una profondità di 29 metri. Questa caverna è stata classificata come tipo di habitat 8310 e al pubblico non è permesso visitarla. All’interno ci vivono anche i pipistrelli (Chiroptera), tutti di specie protetta. La caverna rappresenta una località tipo (locus typicus) dell’Eroonsoma adriatica, una specie di miriapodi, descritta nel 2003.

Sulla costa orientale del Mare Adriatico era presente un totale di 74 batterie costiere, di cui 31 era situata sulla terraferma e 43 sulle isole. L’isola con il maggior numero di batterie costiere è l’isola di Lissa (7), poi seguono le isole Curzola (Korčula) e Lussino (Lošinj) ogni con 4 batterie, le isole Brioni Maggiore (Veli Brijun) e Minore (Mali Brijun), Cherso (Cres), Zuri (Žirje), Zirona Grande (Veli Drvenik), Lesina (Hvar) e Meleda (Mljet) ognuna con due batterie costiere. La batteria è un’unità militare d’artiglieria composta da attrezzatura d’artiglieria. Comprende 50-60 militari e da 3 a 6 pezzi di armi di artiglieria. Rispetto allo scopo d’impiego possono essere batterie aviotrasportate, batterie costieri ecc. Sul promontorio di Gatula è stata costruita una batteria costiera di tipo stazionario e aperto con 4 cannoni. Sotto la superficie della terra ci sono degli scavi. Mascherando l’apertura, la batteria poteva essere facilmente nascosta nell’ambiente circostante. L’illustrazione riporta uno schema di scavi che erano organizzati in modo da poter consentire ai militari di rimanere più a lungo sottoterra. Secondo una lista dell’artiglieria costiera nell’Adriatico del 1948 la batteria costiera sull’isola di Busi sarebbe stata provvista di 4 cannoni con un calibro di 80 mm, modello 28 di origine ceco, marchio Škoda con 5088 proiettili.

Il giovane della foca monaca
Il giovane della foca monaca

L’unica foca del Mediterraneo, conosciuta da queste parti come “morski čovik”, attualmente viene ritenuta specie estinta nel Mare Adriatico. Oggi la foca monaca il suo rifugio ha trovato solo nella parte nordorientale del Mediterraneo, sulla penisola di Capo Blanco nel Sahara Occidentale e nell’arcipelago di Madeira nell’Atlantico. La foca monaca è stata vista l’ultima volta sull’isola di Busi nel lontano 1964, quando è stata uccisa da un pescatore. Ricerche genetiche hanno rilevato che si trattava di una femmina adulta. Nella sua parte ristretta e difficilmente transitabile posta a nord, la Grotta Medvidina con una lunghezza di 160 m finisce con un piccolo lido di ghiaia e perciò è ideale per la vita della foca monaca e l’allevamento di giovani. La parte più impressiva è l’ingresso della grotta con una grande superficie di faglia scanalata (paraclasi) che assomiglia a una grande porta scorrevole di pietra, con un’altezza di circa 27 m e una larghezza di circa 7 m, la cosiddetta porta tettonica.

Il falco della regina (Falco eleonorae) è una specie che effettua la nidificazione prevalentemente nel Mediterraneo e sulle isole pelagiche. Nella Croazia si tratta del territorio acquatico dell’isola di Lissa e di Busi. Il numero maggiore di nidi si trova a sud dell’isola, intorno alla baia di Trešjavac. Oltre a un insolito legame con le isole pelagiche, è altrettanto insolito il periodo di nidificazione del falco della regina – l’estate e il primo autunno, e non la primavera, come lo fanno tutte le altre specie di uccelli. Ma perché proprio in quel periodo? Le biocenosi nella natura sono armonizzate e intrecciate in un modo così affascinante che ogni specie è in grado di trovare una nicchia per sistemarsi. Ciò si riferisce anche al falco della regina – un piccolo uccello rapace che si nutre di piccoli uccelli – che ha sistemato la sua riproduzione proprio su quel posto e proprio in quel tempo quando c’è la più densa concentrazione di piccoli uccelli con i quali nutre i suoi giovani – sulle isole pelagiche nel corso della migrazione autunnale. Poi, quando gli uccellini riescono a sbattere le ali, in ottobre o novembre, i falchi si avviano lentamente verso il sud, perfino al Madagascar, dove trascorrono l’inverno.

Il falco della regina su una roccia con i suoi giovani nel nido
Il falco della regina su una roccia con i suoi giovani nel nido